A Palermo c’è un gioiello nascosto ma abbandonato: una chiesetta in pieno centro (Balarm.it 15.04.20)
Diecimila è un numero spropositato per dei martiri. Eppure, benché non abbia fondamenti storici, all’incirca dal XIII secolo la leggenda dell’esercito composto da diecimila martiri giustiziati presso il monte Ararat in Armenia insieme al loro condottiero romano Acacio ha dato vita al loro culto religioso, che si commemora il 22 di giugno.
Tradizione rappresentata da diverse opere cinquecentesche conservate a Firenze e dal famoso dipinto di Dürer custodito nel Museo Nazionale di Vienna. Si racconta che, sotto gli imperatori Adriano ed Antonino Pio, nel II secolo d.C., Acacio fu inviato in Armenia insieme a novemila soldati, per sedare una rivolta nemica. Ma l’esercito romano non si aspettava di combattere contro centomila uomini.
Inizialmente spaventati per l’immane squilibrio di forze, i soldati imperiali furono rassicurati dall’apparizione di un angelo che li invitò a combattere in nome di Cristo per ottenere la vittoria. Dopo il successo della battaglia, furono battezzati sul monte Ararat. Ma gli imperatori romani, avendo appreso della loro conversione, intervennero per farli abiurare. Non riuscendo nel loro intento, li fecero torturare tremendamente in svariati modi: lapidazione, flagelli e obbligo di camminare su punte acuminate.
Ma nessun supplizio fu portato a termine nei loro confronti, poiché ogni volta furono salvati dagli angeli. Vedendoli uscire incolumi, altri mille uomini vollero convertirsi ed unirsi a loro, raggiungendo così il numero di diecimila. Diecimila che però non sfuggirono al loro destino, diventando martiri sullo stesso monte Ararat, dopo aver subito gli stessi tormenti di Cristo, compresa la crocifissione.
A Palermo, in via Francesco Raimondo quasi di fronte alla chiesa di S. Agostino, esiste ancora una chiesa (oratorio, secondo il Mongitore) dedicata ai Diecimila martiri. Un edificio sconsacrato e chiuso da tempo, di cui si può solo notare l’esterno, risultato di un rifacimento del XVII secolo, sul cui portale si trova un medaglione in stucco di S. Acacio dentro ad un timpano, sovrastato prima da una finestra ed infine da una loggetta.
Completano il tutto due tondi laterali decorati con le palme, simboli del martirio. La sacra fabbrica fu voluta, alla fine del XVI secolo, dalla Compagnia dei Diecimila Martiri, che era sorta nel 1580 nella scomparsa chiesa di S. Maria della Grazia al Capo. Detta Compagnia si univa alle processioni dell’ultima domenica del mese organizzate dalla parrocchia di S. Ippolito ed accoglieva i fedeli di tutti i ceti sociali, tanto da essere chiamata “di sciabica”.
L’edificio, composto da una sola aula rettangolare ed ormai privo pure dell’altare barocco, è in pessime condizioni. La volta è crollata e tutti gli elementi architettonici e decorativi sono praticamente scomparsi. Diverse decine di anni fa divenne sede di un partito politico e, a cavallo del secolo scorso, il cardinale De Giorgi la affidò all’Associazione artistico-culturale no profit Extroart che aveva l’intenzione di trasformarla in un centro Internazionale Multimediale di Arte Contemporanea. Ma il tempo è trascorso e dei fieri Diecimila martiri che coraggiosamente professarono la loro fede sino al martirio rimane un ricordo sbiadito ed una chiesa che attende ancora di rinascere.