28 gennaio, giorno della memoria delle vittime del pogrom di Sumgait. Il 35° anniversario dell’orrore (Korazym 26.02.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.02.2023 – Pietro Kuciukian [*]] – I massacri di Armeni a Sumgait, una città a mezz’ora di macchina da Baku, la capitale dell’Azerbajgian, sono avvenuti alla luce del sole e sono testimoniati da numerose persone che hanno assistito ai fatti e da passanti. Il picco delle atrocità commesse dagli esecutori materiali si è verificato tra il 27 e il 29 febbraio 1988. Gli eventi furono preceduti da un’ondata di diffusione di informazioni anti armene e da raduni in tutto l’Azerbajgian nel febbraio del 1988.
L’Izvestia Daily del 20 agosto 1988 riporta una dichiarazione del deputato sovietico e inquirente capo Katusev, il quale ha detto che quasi tutta l’area di Sumgait, una città con 250.000 abitanti, era diventata teatro di pogrom di massa non impediti. Gli esecutori materiali che fecero irruzione nelle case degli Armeni furono aiutati da liste contenenti i nomi dei residenti. Erano armati di barre di ferro, pietre, scuri, coltelli, bottiglie e taniche piene di benzina. Secondo le testimonianze, alcuni appartamenti furono saccheggiati da gruppi di 50/80 persone. Gruppi simili (fino a 100 persone) si riversavano sulle strade.
Ci furono dozzine di feriti e 53 assassinati, la maggior parte di questi bruciati vivi dopo essere stati attaccati e torturati. Centinaia di innocenti furono feriti e resi inabili. Molte donne, comprese ragazze adolescenti, furono stuprate. Più di 200 appartamenti furono saccheggiati, dozzine di automobili bruciate, numerosi negozi ed officine razziati. Gli assalitori gettavano mobili, frigoriferi, apparecchi TV e letti dai balconi e poi li bruciavano. Il risultato diretto e indiretto di questi orrori furono decine di migliaia di profughi.
Queste furono le perdite umane. Politicamente è stato quanto mai spaventoso e rivelatore il fatto che né la polizia né i soccorritori volontari di emergenza siano intervenuti. Il testimone S. Guliev descrive così gli eventi: «La polizia lasciò la città in balìa della gentaglia. Non si è vista da nessuna parte. Non ho visto in giro nessuna polizia». Al processo, il testimone Arsen Arakelian riferì sulla malvagità dei medici delle ambulanze rifiutatisi di venire in aiuto a sua madre che soffriva di commozione cerebrale, ossa fratturate, emorragia e ustioni; non gli permisero nemmeno di portarla all’interno dell’ospedale.
L’esercito arrivò a Sumgait il 29 febbraio. Si limitò tuttavia a difendersi con scudi dalla plebaglia scatenata che lanciava sassi ai soldati e fece poco per proteggere gli Armeni. «Non abbiamo l’ordine di intervenire», fu la risposta dei soldati alle richieste di soccorso delle vittime, secondo il testimone S. Guliev.
L’assalto di un governo sovrano contro i propri cittadini continuò. Nel maggio 1988 a Shushi, le autorità locali diedero il via alla deportazione di Armeni che vivevano in quella città sulla collina dalla quale la città più grande del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, sarebbe stata con facilità cannoneggiata per diversi anni successivi. A settembre 1988 gli ultimi Armeni erano stati espulsi da Shushi. Quello stesso anno, Armeni furono uccisi e feriti nel villaggio di Khojali. Nel novembre e dicembre 1988, un’ondata di pogrom di Armeni percorse l’Azerbajgian. I peggiori ebbero luogo a Baku, Kirovabad (Ganja), Shemakh, Shamkhor, Mingechaur e Nakhichevan. La stampa sovietica descrisse come, a Kirovabad, gli esecutori materiali fecero irruzione in un ospizio per anziani, catturarono e successivamente ammazzarono 12 anziani inermi, uomini e donne armeni, compresi i disabili. Nell’inverno del 1988 tutti gli Armeni furono deportati da dozzine di villaggi armeni nell’Azerbajgian. Lo stesso destino toccò a più di 40 insediamenti armeni nella parte nord del Nagorno-Karabakh – al di fuori dei confini della regione autonoma che aveva richiesto l’auto-determinazione – comprese le regioni montane di Khanlar, Dashkesan, Shamkhor e le province del Kedabek. I 40.000 Armeni della terza città più grande dell’Azerbajgian, Ganja, furono pure mandati via con la forza dalle loro case. Alla fine erano rimasti meno di 50.000 Armeni a Baku, su una popolazione totale precedente di 215.000.
Durante tutto l’anno 1989, attacchi sporadici, pestaggi, saccheggi e massacri a Baku ridussero quel numero a 30.000 – per lo più persone anziane che non avevano la possibilità di lasciare Baku. Nella prima parte di gennaio 1990, i pogrom a danno di Armeni a Baku si intensificarono e divennero più organizzati. Il 13 gennaio, una folla forte di 50.000 persone si staccò da un raduno, si divise in gruppi ed iniziò metodicamente, casa per casa, a “pulire” la città dagli Armeni. I pogrom continuarono fino al 15 gennaio. Il numero totale di uccisi nei primi tre giorni raggiunse le 33 persone. La stampa sovietica pubblicava rapporti quotidiani di indescrivibile orrore – corpi tagliati a pezzi, sventramenti di donne incinte, persone bruciate vive – con un conto giornaliero di assassinii perfettamente noto alle autorità. La rivista sovietica Soyuz ha dato notizia di un uomo letteralmente fatto a pezzi e cui resti furono gettati in un cassonetto della spazzatura. Secondo varie fonti furono uccisi centinaia di Armeni. Quelli rimasti, per lo più anziani, furono mandati via con la forza – molti morirrono durante e dopo la deportazione. I pogrom continuarono fino al 20 gennaio quando furono mandate a Baku truppe dell’esercito. Ma a quel punto la città era stata completamente “liberata” da “elementi armeni”, fatta eccezione per un paio di centinaia di Armeni di matrimonio misto. Durante il conflitto militare nel Nagorno-Karabakh questi ultimi furono letteralmente “ripescati” per essere scambiati con azeri prigionieri di guerra.
Il ruolo attivo delle autorità fu sempre evidente. Gli ospedali stilarono innumerevoli certificati di morte per Armeni morti per “ipertensione” “diabete” e “collasso cardiovascolare”. Veicoli della polizia non erano mai lontani dai saccheggiatori, pronti a trasportare cose di valore ingombranti. Poco tempo dopo i pogrom, uno dei leader del Fronte Popolare Azero, E. Mamedov dichiarò in una conferenza stampa: «Io personalmente sono stato testimone dell’assassinio di due Armeni non lontano dalla stazione della ferrovia. Una folla si radunò, gettarono loro addosso del combustibile e li bruciarono. La stazione della polizia locale era distante circa 200 metri, e c’erano da 400 a 500 agenti che pattugliavano nella zona dove bruciavano i corpi. Non ci fu nessun tentativo di recintare l’area, salvare le vittime o disperdere la folla».
Il 7 luglio 1988 il Parlamento Europeo adottò la seguente risoluzione:
«Considerando, che il Nagorno-Karabakh fu storicamente una parte dell’Armenia, che attualmente oltre l’80 % della sua popolazione è costituita da Armeni, che questa regione fu annessa dall’Azerbajgian nel 1923 e che nel febbraio 1988 gli Armeni hanno subito un massacro nella città azera di Sumgait,
Considerando, che l’aggravarsi della situazione politica, che ha già provocato uccisioni di massa di Armeni a Sumgait e atrocità a Baku è pericolosa per gli Armeni che vivono in Azerbajgian,
Condanna la brutalità e la pressione esercitata contro le manifestazioni di protesta armene in Azerbajgian».
Mentre è stato fatto tutto il possibile per nascondere e distorcere i crimini commessi a Sumgait, prove basate su documenti, deposizioni di testimoni ed altri fatti raccolti fino ad oggi portano ad una chiara conclusione: i pogrom furono organizzati e realizzati dalle autorità dell’Azerbajgian sovietico.
George Soros ha parlato di questo nello Znamya Journal di Mosca (fasc. n. 6, 1989). In pratica ha confermato che i primi pogrom a danno di Armeni in Azerbajgian furono istigati da bande locali manipolate dall’allora Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista e futuro Presidente dell’Azerbajgian, Heydar Aliyev.
La leadership azera, allora e adesso, non ha mai espresso rimorso per la pulizia etnica e i massacri degli Armeni dell’Azerbajgian o degli Armeni del Nagorno-Karabakh. Secondo Ilias Izmailov, Pubblico Ministero Capo dell’Azerbajgian per i pogrom di Sumgait «gli esecutori materiali dei pogrom ora rivestono incarichi e siedono in Parlamento» (Zerkalo, 21 febbraio 2003).
Lo Stato azero e la sua leadership né allora e né adesso si è preso cura della sicurezza e del benessere dei suoi cittadini Armeni.
Date le azioni compiute dagli Azeri prima e dopo l’indipendenza, non c’è ragione di dubitare che, se gli Armeni del Nagorno-Karabakh non avessero chiesto l’auto-determinazione nel 1988, oggi avrebbero subito lo stesso destino toccato agli Armeni del Nakhichevan.
Ci sono stati profughi e perdite territoriali da ambedue le parti. La parte armena ha ospitato circa 400.000 profughi dall’Azerbajgian – cifra quasi uguale ai profughi azeri fuggiti in Azerbajgian, a seguito dello scambio di popolazioni. Territori totalmente popolati da Armeni, quali Shahumian e il Nord Martakert, un tempo facenti parte della regione indipendente del Nagorno-Karabakh, sono sotto controllo degli Azeri. In realtà, fatti sul tappeto oggi sono la conseguenza di un ciclo di violenza e intolleranza cominciata con il rifiuto dell’Azerbajgian di accettare le richieste di auto-determinazione di una popolazione pacifica.
[*] Dott. Pietro Kuciukian è Console Onorario della Repubblica di Armenia a Milano.
Foto di copertina: monumento alle vittime del pogrom di Sumgait presso il complesso commemorativo di Stepanakert, Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Il pogrom di Sumgait prese di mira la popolazione armena della città di Sumgait nella Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian dal 27 al 29 febbraio 1988.
Il 28 febbraio è stato designato giorno festivo in Armenia nel 2005 come “Il giorno della memoria delle vittime dei massacri nella SSR azerbaigiana e della protezione dei diritti della popolazione armena deportata”.
Il pogrom di Sumgait ha avuto luogo durante le prime fasi del Movimento del Karabakh. Le questioni territoriali nel Caucaso meridionale oggi sono le conseguenze di un ciclo di violenza e di intolleranza che è iniziato con la soppressione da parte dell’Azerbajgian degli inviti alla pacifica auto-determinazione degli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. La violenza contro gli Armeni a Sumgait ha cambiato la natura del conflitto del Karabakh. Il conflitto divenne militarizzato. Quando il popolo del Nagorno-Karabakh intraprese tutte le necessarie azioni legali al fine di optare per l’auto-determinazione in conformità con la legislazione del tempo, la risposta fu un’aggressione militare. È molto significativo che un governo sovrano abbia risposto ad azioni democratiche dei propri cittadini con l’uso delle armi. Inoltre, la violenta risposta militare all’inizio non fu nemmeno diretta contro la popolazione del Nagorno-Karabakh, ma contro gli Armeni di Sumgait e Baku, chilometri lontano dal territorio e dalla popolazione dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian oggi è la vittima della sua aggressività e gli Armeni sono le vittime dell’aggressione azera.