140° giorno del #ArtsakhBlockade. L’Armenia è pronta a rinunciare al Nagorno-Karabakh. Cosa ci aspetterà? (Carnegie Endownment) (Korazym 30.04.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 30.04.2023 – Vik van Brantegem] – Nel giorno 140 dell’assedio dell’Artsakh, non solo l’autocrate Aliyev impedisce al cibo di entrare nell’Artsakh, ma il Comandante in capo delle Forze Armate dell’Azerbajgian fa sparare le sue truppe sui civili, sui contadini che lavorano nei campi che cercano di coltivare il cibo sotto il #ArtsakhBlockade. Secondo notizie non confermate, l’Azerbajgian starebbe preparando un’altra provocazione dal Karvachar occupato, usando una folla di civili in marcia verso il bacino idrico di Sarsang in Artsakh.
«Che l’avvenire sia pieno di culle, non di tombe», l’augurio di Papa Francesco durante il suo viaggio apostolico in Ungheria. Un augurio che ripetiamo, estendendolo anche al martoriato popolo armeno.
Il 30 aprile 1991, l’OMON (Unità Speciale Mobile della Polizia) dell’Azerbajgian sostenuta dal Ministero dell’Interno dell’URSS ha lanciato un’operazione Ring su larga scala per la deportazione della popolazione armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Di conseguenza più di 20 villaggi sono stati distrutti, quasi 10.000 Armeni sfollati e centinaia uccisi.
OMON è il nome generico per indicare le ex unità speciali antiterrorismo della polizia russa dipendenti dal Ministero dell’Interno della Federazione Russa e in passato dell’Unione Sovietica.
Le unità OMON nacquero nel 1979, quando la prima unità venne creata in vista delle Olimpiadi di Mosca, per garantire che non avvenissero attentati terroristici, come accadde alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Successivamente, l’unità venne impiegata in situazioni d’emergenza come arresti ad alto rischio, sequestri e liberazione di ostaggi e, inoltre, in risposta ad attacchi terroristici.
Le unità OMON vennero inizialmente impiegate come polizia antisommossa, per sorvegliare e fermare dimostrazioni di piazza, atti di vandalismo e altre situazioni d’emergenza; più avanti però vennero addestrate ad operare in un più ampio insieme di situazioni, come cordoni, pattugliamento delle strade e qualche volta operazioni paramilitari e militari.
Dal 2016 questo corpo speciale è stato fuso con altre strutture simili come SOBR (Squadra Speciale di reazione rapida) e Truppe Interne in un unico grande servizio: il Servizio Federale delle Truppe della Guardia Nazionale della Federazione Russa o Rosgvardia. Il loro motto è “Noi non conosciamo pietà e non ne chiediamo”.
Anche alcuni Stati dell’ex Unione Sovietica, come Bielorussia, Azerbajgian ed altri, hanno mantenuto gli OMON all’interno delle loro forze di polizia.
L’OMON, così come il SOBR, è un’unità spetznas dell’MVD, per questo il loro addestramento è più lungo e impegnativo rispetto alle altre forze di polizia.
«La comunità internazionale non può più stare a guardare senza agire. Ecco perché vi chiedo di unirvi a me nel firmare la petizione del movimento “NO alla pulizia etnica dell’Artsakh” che chiede alla comunità internazionale di prevenire la pulizia etnica e il genocidio perseguiti dall’Azerbajgian contro gli Armeni dell’Artsakh e di garantire l’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020» (Ruben Vardanyan).
Petizione lanciata dall’Artsakh Movement
Fermare la politica dell’Azerbajgian di pulizia etnica e genocidio degli Armeni in Artsakh
«Chiediamo la fine della politica dell’Azerbajgian di pulizia etnica e genocidio degli Armeni in Artsakh e la garanzia dell’attuazione della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020:
- Agli Stati membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU)
- Ai leader dei Paesi copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE: Stati Uniti d’America, Repubblica francese, Federazione Russa
- Al Presidente della Federazione Russa, in qualità di capo del Paese che attua la missione di mantenimento della pace in Artsakh
- Al Primo Ministro della Repubblica di Armenia, quale capo del governo dello Stato che ha assunto la responsabilità giuridica e politica della Repubblica di Artsakh con la dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Armenia
Dalla firma, il 9 novembre 2020, della Dichiarazione tripartita (di seguito denominata Dichiarazione tripartita) da parte del Primo Ministro della Repubblica di Armenia Nikol Pashinyan, del Presidente della Repubblica di Azerbaigian Ilham Aliyev e del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, l’Azerbajgian ha regolarmente violato e continua a violare impunemente una serie di disposizioni del documento: in particolare, uccidendo i residenti della Repubblica di Artsakh, occupando nuovi territori, sparando ai civili impegnati nei lavori agricoli, mantenendo l’Artsakh sotto blocco dal 12 dicembre 2022 e istituendo un posto di blocco sul Corridoio di Berdzor (Lachin) il 23 aprile 2023, interrompendo così completamente la connessione dell’Artsakh con il mondo esterno.
Non solo c’è attualmente una grave crisi umanitaria nell’Artsakh, ma l’Azerbajgian sta anche apertamente conducendo una politica genocida di pulizia etnica e privando gli autoctoni dell’Artsakh della loro patria.
Dalla firma della Dichiarazione tripartita, l’Azerbajgian ha gravemente violato le seguenti disposizioni:
- Secondo la prima disposizione, le parti avrebbero dovuto restare sulle loro posizioni e doveva essere mantenuto un pieno regime di cessate il fuoco. Tuttavia, a seguito degli attacchi delle unità delle forze armate azere, gli insediamenti Khtsaberd, Hin Tagher, Parukh e Karaglukh della Repubblica dell’Artsakh sono passati sotto il controllo dell’Azerbajgian dopo la firma della Dichiarazione tripartita. Le forze armate azere hanno occupato anche altri territori.
- Secondo il punto 6 del documento, il Corridoio di Lachin (largo 5 km) assicurerebbe il collegamento del Nagorno-Karabakh con l’Armenia e sarebbe sotto il controllo delle truppe di pace della Federazione Russa. Dal 12 dicembre 2022, l’Azerbajgian ha chiuso il Corridoio di Lachin. Dal 23 aprile 2023, l’Azerbaigian ha istituito unilateralmente un posto di blocco lì, tenendo in ostaggio 120.000 Armeni dell’Artsakh, tra cui circa 30.000 bambini.
- Secondo il punto 7 del documento, gli sfollati interni ei rifugiati devono rientrare nel territorio del Nagorno-Karabakh e nelle regioni adiacenti sotto la supervisione dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Il paragrafo 8 del documento prevede lo scambio di prigionieri di guerra, ostaggi e altre persone detenute, nonché i corpi dei morti. L’Azerbajgian ha impedito l’attuazione di questi due punti con tutti i mezzi possibili sin dal primo giorno della firma della Dichiarazione tripartita.
Inoltre, il 7 dicembre 2021 e il 22 febbraio 2023, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha emesso due misure provvisorie, chiedendo all’Azerbajgian di cessare immediatamente le sue gravi violazioni del diritto internazionale. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU) ha adottato tali decisioni provvisorie nel 2020-2022. Tuttavia, fino ad oggi, l’Azerbaigian si rifiuta ancora di attuare le decisioni di questi due tribunali, anche se si tratta di atti di immediata esecuzione.
Noi, cittadini della Repubblica di Artsakh, attraverso questa petizione-richiesta, attiriamo l’attenzione dei leader dei suddetti Paesi e dell’intera comunità internazionale sull’attuazione da parte dell’Azerbajgian di una politica di pulizia etnica e genocidio degli Armeni della Repubblica di Artsakh, nonché alle gravi violazioni delle disposizioni della Dichiarazione tripartita da parte della leadership politico-militare dell’Azerbajgian per questo stesso scopo.
Chiediamo l’applicazione senza indugio di tutti i meccanismi internazionali al fine di garantire l’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione tripartita, nonché delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite e della CEDU.
Tenendo conto della situazione attuale, noi, a nome dell’intera popolazione dell’Artsakh, chiediamo garanzia dell’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, nonché delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite del 7 dicembre 2021 e del 22 febbraio 2023 e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2020-2022:
- ritiro delle forze armate azere dai territori armeni occupati dopo il 9 novembre 2022, pieno rispetto del regime di cessate il fuoco;
- sblocco immediato del corridoio, fornitura di comunicazioni ininterrotte con l’Armenia attraverso il corridoio largo 5 km;
- smantellamento dei checkpoint azeri;
- garanzia del diritto dei prigionieri e dei profughi a tornare in patria.
Se i destinatari non si adoperano attivamente per adempiere ai predetti punti entro 7 giorni dalla pubblicazione della presente pubblica petizione-domanda, dovremo ricorrere a tutti i mezzi e metodi necessari per tutelare il nostro diritto all’abitare la patria e il futuro di I nostri figli.
Il movimento “NO alla pulizia etnica dell’Artsakh”».
«Avete taciuto abbastanza. È ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito» (Santa Caterina da Siena).
«Il mondo non sarà distrutto da chi fa il male, ma da chi lo guarda senza fare nulla» (Albert Einstein).
«Quelli a cui piace marciare in fila a ritmo di musica: può essere solo per errore che hanno ricevuto un cervello, un midollo spinale sarebbe più che sufficiente per loro» (Albert Einstein).
«Oggi ho parlato con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, per ribadire il mio sostegno ai continui sforzi per garantire la pace con l’Azerbajgian e la volontà degli Stati Uniti di facilitare [il processo]. Il dialogo diretto e la diplomazia sono l’unica via per una pace duratura nel Caucaso meridionale» (Antony Blinken, Segretario di Stato USA, 29 aprile 2023).
Occorre che lo dica all’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev. La situazione degli Armeni in Artsakh/Nagorno-Karabakh peggiora di giorno in giorno. La crisi umanitaria sul terreno causata dal doppio blocco militare azero del Corridoio di Berdzor (Lachin) è solo un preludio alla pulizia etnica. Gli Stati Uniti hanno una responsabilità e non possono dare il via libera ai crimini azeri contro il popolo armeno dell’Artsakh.
Martedì prossimo 2 maggio 2023, il Commissario Europeo per l’Energia, Kadri Simson, ospiterà a Brussel il dialogo energetico Unione Europea-Azerbajgian con il Ministro dell’Energia della Repubblica di Azerbajgian, Parviz Shahbazov. Dopo il loro incontro a Baku, in Azerbajgian, all’inizio di quest’anno in occasione della 9ª Riunione ministeriale del Consiglio consultivo del gas meridionale, faranno il punto sulla cooperazione energetica tra l’Unione Europea e l’Azerbajgian e discuteranno su come portarla avanti. In particolare, l’Unione Europea e l’Azerbajgian si scambieranno informazioni sulla situazione dell’approvvigionamento di gas, comprese le misure messe in atto dall’Unione Europea nell’ultimo anno per diversificare l’approvvigionamento energetico e porre fine alle importazioni russe di combustibili fossili nell’Unione Europea. Discuteranno dell’espansione del corridoio meridionale del gas a sostegno degli sforzi dell’Unione Europea e di ulteriori vie praticabili per la fornitura di gas del Caspio all’Unione Europea. In un memorandum d’intesa su un partenariato strategico nel campo dell’energia firmato lo scorso anno, i due partner si sono impegnati a raddoppiare la capacità del gasdotto per fornire all’Unione Europea almeno 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno entro il 2027. Discuteranno anche su come portare avanti la loro cooperazione sulla transizione verso l’energia pulita, comprese le politiche sulle energie rinnovabili, l’efficienza energetica e le emissioni di metano. A Baku questo febbraio, l’Unione Europea e l’Azerbajgian hanno tenuto la prima riunione del Consiglio consultivo per l’energia verde. Anche i rappresentanti della Banca europea per gli investimenti (BEI) e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) parteciperanno al dialogo sull’energia a Brussel per fornire una panoramica degli strumenti finanziari disponibili per sostenere lo sviluppo dell’energia pulita in Azerbajgian.
«Dal 24 febbraio dello scorso anno, quando la Russia ha lanciato la grande invasione dell’Ucraina, l’Unione Europea ha premuto il pedale del gas nelle relazioni con l’Azerbajgian. Dopo ogni nuova dichiarazione di intenti/nuovo accordo con l’Azerbajgian, quest’ultimo ha attaccato l’Armenia/Nagorno-Karabakh» (Rasmus Canbäck, autore e giornalista svedese indipendente).
L’Armenia è pronta a rinunciare al Nagorno-Karabakh: cosa succederà?
di Kirill Krivosheev
Carnegie Endownment for International Peace, 28 aprile 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
È stato raggiunto un punto di svolta nel lungo conflitto tra Armenia e Azerbajgian. La scorsa settimana, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato che l’Armenia può raggiungere la pace solo a una condizione: limitare le sue ambizioni territoriali ai confini della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia. In altre parole, deve rinunciare alla sua pretesa sul Nagorno-Karabakh, dopo aver combattuto molteplici guerre con l’Azerbajgian per il controllo della regione montuosa.
Pochi giorni dopo, il 23 aprile, l’Azerbajgian ha istituito un posto di blocco nel Corridoio di Lachin, la cosiddetta “strada della vita” tra l’Armenia e la non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh. Sembra che Yerevan sia pronto decisamente a cedere il Karabakh.
L’annuncio di Pashinyan è stato ampiamente pubblicizzato e ha sbalordito molti con la sua franchezza, anche se in sostanza non c’era nulla di nuovo in esso. Per diversi anni, a partire dalla sconfitta nella guerra del 2020, il governo armeno ha cercato di trovare una formula per il futuro del Karabakh che soddisfacesse Baku e non provocasse una diffusa insoddisfazione in Armenia.
Già nell’aprile dello scorso anno, Pashinyan aveva parlato di un cambio di priorità. La questione chiave per Yerevan non era lo status del Karabakh, ma le “garanzie di sicurezza e diritti” per coloro che vi abitano. In altre parole, il Karabakh farebbe parte dell’Azerbajgian, ma ci sarebbero difficili negoziati su questioni specifiche come lo status della lingua armena. Il Primo Ministro ha anche cercato di evitare responsabilità affermando che la decisione di Yerevan era stata presa su richiesta di partner internazionali “vicini e lontani”.
A settembre, Pashinyan ha annunciato di essere pronto a firmare un accordo di pace con Baku: e sì, molti Armeni lo considererebbero un traditore, ma la cosa principale era “pace e sicurezza a lungo termine per l’Armenia, con un territorio di 29.800 mq chilometri” – cioè i confini della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia, senza il Karabakh.
Sullo sfondo di queste dichiarazioni, Baku ha gradualmente ampliato l’area che controlla nel Karabakh. I partner internazionali di Yerevan non si sono fatti coinvolgere e il governo armeno ha deciso di non rispondere, poiché ciò avrebbe inevitabilmente irritato non solo Baku ma anche i mediatori internazionali.
L’Azerbajgian non ha nemmeno affrontato alcuna conseguenza quando nel dicembre 2022 ha bloccato il Corridoio di Lachin che collega Armenia e Karabakh (Baku ha affermato che non c’era alcun blocco da parte sua). La risposta dell’Armenia si è limitata a utilizzare un percorso alternativo che si era aperto in primavera: una pista sterrata che anche i fuoristrada potevano percorrere a malapena. Anche quello è stato presto vietato, tuttavia, con gli Azeri che hanno sparato alla polizia armena utilizzando questa rotta e successivamente allestendo un posto di blocco.
Dopodiché, era solo questione di tempo, prima che l’Azerbajgian istituisse un posto di blocco sulla strada principale per Stepanakert, la capitale della non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh. È successo il 23 aprile. Le forze di mantenimento della pace russe non sono state coinvolte, anche se secondo gli accordi tripartiti del 2020 il Corridoio di Lachin doveva essere sotto il loro controllo.
Il posto di blocco pone numerosi nuovi e difficili problemi agli Armeni. Quali documenti richiederanno le guardie di frontiera azere? Possono arrestare gli Armeni semplicemente perché sembrano sospetti? Consentiranno solo l’ingresso in Armenia, ma sosterranno che non ci sono motivi per tornare in Karabakh?
Le risposte a queste domande dipendono in gran parte dal fatto che gli Armeni accetteranno questa nuova realtà. In questo momento, sembra che l’abbiano già fatto. Yerevan ha capito che, in definitiva, né le proteste di massa né i partner internazionali che non fanno altro che “esprimere preoccupazione” possono fare la differenza per il destino del Karabakh.
La scorsa estate, gli Armeni del Karabakh hanno accettato di dirigere i colloqui con Baku. Ufficialmente, l’obiettivo dei negoziati è solo quello di fornire elettricità e gas alla repubblica non riconosciuta, ma è chiaro che i colloqui riguardano più di questo. Yerevan concorda sul fatto che gli Armeni del Karabakh debbano fare i propri affari: questa è una concessione a Baku che consente anche a Yerevan di evitare responsabilità.
Quindi cosa ci aspetta per il Karabakh? Non ci sono motivi per aspettarsi la pulizia etnica di cui si è parlato a Yerevan o la guerra partigiana che Baku potrebbe temere. A giudicare dai commenti delle autorità azere, intendono trattare gli Armeni del Karabakh come fanno con le altre minoranze nazionali, come i Lezgin, i Talysh e i Tats. Non ci saranno aree autonome speciali o programmi di adattamento. Tuttavia, non sarà facile per gli Armeni rimasti in Karabakh ottenere un passaporto azero. Di fronte alla nuova, brutale realtà, potrebbero decidere di trasferirsi in Armenia.
Ciò solleverà un’altra domanda: se gli Armeni etnici saranno in grado di vendere le loro proprietà in Karabakh o se ne saranno appropriati. Le autorità azere probabilmente adotteranno approcci diversi nei confronti degli abitanti nativi della regione e dei coloni provenienti dall’Armenia.
Date queste circostanze, il risultato più realistico sembra essere l’emigrazione di massa degli Armeni del Karabakh. Rimarranno solo i residenti anziani con un forte attaccamento alle loro case. Non prendono parte alla vita politica né creano problemi alle autorità.
Tutto ciò senza dubbio farà arrabbiare la società armena. Non è solo una questione di orgoglio nazionale, ma anche di difficoltà materiali: non sarà facile ospitare circa 100.000 immigrati in un Paese di meno di 3 milioni. Ma questi problemi non sono niente in confronto alla minaccia di una guerra permanente e di basso livello lungo l’intera lunghezza del suo confine.
Un recente evento nel villaggio di Tegh, nella regione armena di confine di Syunik, è stato un serio promemoria della realtà di quella minaccia. Gli Azeri si sono offesi per il fatto che gli Armeni stessero costruendo lì un nuovo posto di guardia. C’è stata una sparatoria e soldati di entrambe le parti, sette in totale, sono stati uccisi.
Le autorità armene ora sanno che la Missione di osservazione dell’Unione Europea che hanno invitato per i prossimi due anni non li salverà miracolosamente. Quando sono iniziate gli scontri, gli osservatori europei non erano sul posto. Il loro rapporto osservava semplicemente che “in assenza di un confine delimitato, il confine del 1991 dovrebbe essere osservato e le forze di entrambe le parti dovrebbero tornare a una distanza di sicurezza da quella linea”. Yerevan era così deluso che Pashinyan parlò di nuovo della disponibilità a collocare al confine una missione concorrente dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva guidata dalla Russia.
A Yerevan si teme che le tensioni al confine possano continuare anche dopo la conclusione del conflitto in Karabakh. C’è anche, ad esempio, la questione dell’exclave azera di Nakhichevan, che secondo l’accordo tripartito del 2020 dovrebbe essere collegata via terra al resto dell’Azerbaigian. Le controversie sul suo status rischiano nuove escalation.
Gli Armeni hanno già attraversato le fasi di negazione e di rabbia del dolore, e ora sono in procinto di negoziare. Prima che possano raggiungere la fase finale dell’accettazione, dovranno attraversare la depressione, che sarà attenuata dai discorsi a Yerevan sullo sviluppo pacifico attraverso, ad esempio, l’apertura di un confine terrestre con la Turchia e il rilancio dei legami economici con essa. Dichiarazioni sull’ampliamento della cooperazione con gli Stati Uniti e l’Unione Europea perseguono gli stessi obiettivi.
Le relazioni con la Russia, intanto, dovranno essere riviste, poiché il principale argomento di discussione, il Karabakh, scomparirà. Per la maggior parte degli Armeni, il Cremlino sarà visto come un alleato inaffidabile che li ha abbandonati nel momento del bisogno. Solo pochi esponenti dell’opposizione delle vecchie élite sosterranno che è tutta colpa di Pashinyan, e che se solo avesse riconosciuto la Crimea come territorio russo, tutto sarebbe stato diverso. Sotto tutti gli altri aspetti, l’influenza di Mosca sarà pari a quella di Ankara, Brussel e Washington.
Persino Stalin concesse al Nagorno-Karabakh lo status di Oblast autonomo, inserendo illegalmente la regione nell’Azerbajgian sovietico negli anni ’20. Un secolo dopo, l’atteggiamento nei confronti dei diritti umani e del diritto internazionale è peggiorato. Gli Armeni dell’Artsakh ora devono affrontare più violazioni.
L’integrità territoriale dell’Azerbajgian non ha niente a che fare con il Nagorno-Karabakh
di Anzhela Mnatsakanyan
Greek City Times, 26 novembre 2020
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
È opinione comune che il Nagorno-Karabakh sia un conflitto irrisolvibile in quanto i due principi del diritto internazionale si contraddicono: il diritto all’autodeterminazione e il diritto all’integrità territoriale.
Ma il quadro è diverso in quanto l’Artsakh – lo storico nome armeno del Nagorno-Karabakh – non ha niente a che fare con l’integrità territoriale dell’Azerbajgian, e vi mostrerò perché.
Periodo pre-sovietico
L’Artsakh è parte integrante dell’Armenia storica, è menzionato nelle opere di Strabone, Plinio il Vecchio, Claudio Tolomeo, Plutarco, Dione Cassio e altri autori antichi. Fonti greche antiche chiamavano l’area Orkhistene.
Al contrario, l’Azerbajgian è un paese relativamente giovane, apparso per la prima volta sulla mappa politica nel 1918 con il nome di Repubblica Democratica di Azerbaigian (1918-1920). Non è mai stato formalmente riconosciuto dalla comunità internazionale o dalla Società delle Nazioni. Durante il 1918-1920, il 95% della popolazione del Nagorno-Karabakh era armeno. Convocarono il loro primo congresso, che proclamò il Nagorno-Karabakh come unità politica indipendente. Il potere legislativo in Nagorno-Karabakh era esercitato dalle Assemblee degli Armeni del Karabakh.
Tra il maggio 1918 e l’aprile 1920, l’Azerbajgian, sostenuto dalle unità militari turche, commise atti di violenza e uccisioni di massa contro la popolazione armena del Nagorno-Karabakh.
Gli sforzi del governo dell’Azerbajgian per risolvere il problema del Karabakh con mezzi militari hanno provocato l’organizzazione dell’autodifesa del Karabakh. Subito dopo, unità militari della Repubblica di Armenia arrivarono per salvare la popolazione oppressa del Karabakh e liberare completamente il Karabakh. Il 23 aprile 1920, la Nona Assemblea degli Armeni del Karabakh dichiarò il Nagorno-Karabakh parte inalienabile della Repubblica di Armenia.
Periodo Sovietico
Il 30 novembre 1920, l’allora governo sovietico dell’Azerbajgian adottò una dichiarazione sul riconoscimento del Nagorno-Karabakh, dello Zangezur e del Nakhichevan come parte dell’Armenia sovietica. Il 4 luglio 1921, l’Ufficio caucasico del Partito comunista russo convocò una riunione plenaria nella capitale della Georgia, Tbilisi, durante la quale confermò nuovamente il fatto che il Nagorno-Karabakh apparteneva alla Repubblica Socialista Sovietica Armena.
Tuttavia, nella notte tra il 4 e il 5 luglio 1921, una nuova decisione fu dettata dal leader sovietico Joseph Stalin, che affermava: “Procedendo dalla necessità di stabilire la pace tra Musulmani e Armeni (…) includere il Nagorno-Karabakh nella RSS di Azerbajgian, concedendole un’ampia autonomia regionale con un centro amministrativo di Shushi, compreso nella regione autonoma.
Questi fatti dimostrano che il Nagorno-Karabakh non apparteneva alla RSS di Azerbajgian, né durante la sovietizzazione dell’Azerbajgian né dopo l’istituzione del potere sovietico in Armenia, quando Baku riconobbe tutti i territori contesi come armeni.
D’altra parte, con o senza violazioni procedurali, la legittimità di questo forum è seriamente messa in discussione.
La decisione dell’Ufficio caucasico del Comitato centrale del Partito comunista russo-bolscevico è un atto giuridico senza precedenti nella storia del diritto internazionale: il partito politico di un Paese terzo, privo di potere legale o giurisdizione, ha deciso lo status del territorio del Nagorno-Karabakh.
Nel 1988, in risposta alle rivendicazioni di autodeterminazione della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, le autorità azere organizzarono massacri e la pulizia etnica degli Armeni sull’intero territorio dell’Azerbaigian, in particolare a Sumgait, Baku e Kirovabad.
Processo di indipendenza
Il 2 settembre 1991, sulla base della legge dell’URSS sulle “Procedure di risoluzione dei problemi sulla secessione di una Repubblica dell’Unione dall’URSS”, una sessione congiunta di deputati di tutti i livelli del Nagorno-Karabakh e della regione di Shahumyan ha proclamato il indipendenza della Repubblica del Nagorno Karabakh (RNK), che è stata rafforzata dal referendum sull’indipendenza del Nagorno-Karabakh, dove il 99,89% dei partecipanti ha votato “a favore” dell’indipendenza.
Il 18 ottobre 1991, la Repubblica di Azerbajgian ha proclamata la sua indipendenza con l’adozione di un “Atto costituzionale sull’indipendenza dello Stato”. La stessa legge costituzionale considerava l’instaurazione del potere sovietico in Azerbajgian come “annessione da parte della Russia sovietica” che “rovesciava il governo legale dell’Azerbajgian”. Pertanto, la Repubblica di Azerbajgian ha dichiarato illegale l’istituzione del potere sovietico a Baku e ha rifiutato l’intera eredità politica e legale sovietica. Quando la Repubblica di Azerbajgian rifiutò l’eredità legale sovietica nel 1991, il soggetto internazionale al quale i territori erano passati nel 1920 cessò di esistere. Rifiutando l’eredità legale della RSS di Azerbajgian del 1920-1991, la Repubblica di Azerbaigian ha perso tutte le rivendicazioni sui territori passati all’Azerbajgian sovietico nel luglio 1921, vale a dire il Nagorno-Karabakh.
È importante sottolineare che il Nagorno-Karabakh e l’Azerbajgian sono diventati indipendenti secondo la stessa legge sovietica interna, quindi le basi legali dell’indipendenza di queste due repubbliche sono equivalenti.
Fase attuale
Nel 1991, l’Azerbajgian ha lanciato una guerra contro il Nagorno-Karabakh, che è durata fino al maggio 1994, quando l’Azerbajgian, il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, attraverso la mediazione della Russia, hanno firmato un accordo di cessate il fuoco. Il fatto che l’Azerbajgian abbia firmato un accordo di cessate il fuoco con il Nagorno-Karabakh è la prova che il Karabakh era considerato un’entità giuridica distinta.
Durante tutti questi anni, le autorità azere, disponendo di tutte le risorse necessarie e di un partner militare permanente (la Turchia), hanno continuato a violare l’accordo di cessate il fuoco. Gli scontri al confine si sono trasformati in guerre nell’estate 2014 e nell’aprile 2016, entrambe le volte le attività militari sono state interrotte dalla mediazione della Russia.
Il 27 settembre 2020 l’Azerbajgian, sostenuto dalla Turchia e con il coinvolgimento di combattenti terroristi stranieri, ha lanciato una nuova guerra contro l’Artsakh. Migliaia di soldati di entrambe le parti sono stati uccisi prima del cessate il fuoco.
Tuttavia, ora la Repubblica di Artsakh non ha uno status e non vi è alcuna garanzia reale che gli Armeni dell’Artsakh non affronteranno la nuova pulizia etnica.
Quindi, possiamo concludere che l’integrità territoriale della Repubblica di Azerbaigian non ha nulla a che fare con la Repubblica di Artsakh, in quanto l’Artsakh/Nagorno-Karabakh, non ha mai fatto parte dell’Azerbajgian indipendente, né nel 1918-1920 né dopo il 1991.
Articolo collegato: Le vicende statali nella Transcaucasia dall’inizio del XX secolo – 2 novembre 2022
Il dittatore azero Aliyev – nell’ambito del festival tecnologico Teknofest organizzato a Istanbul il 29 aprile 2023, indossando la giacca rossa sponsorizzata dal produttore di drone turche Bayraktar – interferisce in modo molto sfacciato negli affari interni turchi. Aliyev dà il suo sostegno a Erdoğan nella sua candidatura per la rielezione: «Al vertice degli Stati turchi tenutosi ad Ankara il mese scorso, tutti gli stati turchi hanno espresso il loro sostegno ad Erdoğan».
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]