131° giorno del #ArtsakhBlockade. Vorrei… eppure, eccoci qui (Korazym 21.04.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.04.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi è il 131° giorno che l’Azerbajgian tiene il popolo dell’Artsakh sotto un illegale e immorale assedio. E vorrei…
«Vorrei che questo conflitto in Artsakh trovasse una soluzione pacifica.
Vorrei che il popolo dell’Artsakh non fosse sotto blocco.
Vorrei che i bambini avessero lotte quotidiane regolari piuttosto che la preoccupazione della guerra e della pulizia etnica.
Vorrei che i bambini aspirassero ad essere ciò che vogliono nella vita e ad avere quel futuro in Armenia e Artsakh.
Vorrei che non ci fosse più la guerra nella regione.
Vorrei scrivere i miei giovedì pensierosi.
Vorrei passare il tempo a fare qualcos’altro.
Eppure eccoci qui.
Ho iniziato a scrivere perché non sapevo cos’altro fare.
Ho iniziato a scrivere per me stesso.
Ho iniziato a scrivere perché stavo cominciando a impazzire, sentendomi così impotente. Era la mia liberazione, ed è stata la mia liberazione quotidiana.
Mi sento obbligato a fare qualcosa.
Mi sento ancora impotente, ma spero che i miei scritti raggiungano qualcuno. Almeno mi hanno permesso di raggiungere le persone che ho incontrato in Artsakh e riaccendere la nostra relazione. Per lo meno, spero di mostrare loro che ci sono persone al di fuori dell’Artsakh che li hanno nei loro pensieri.
Non so cos’altro fare, quindi continuerò a scrivere per me stesso. Si spera che possa fornire qualcosa per gli altri» (Varak Ghazarian – Medium.com, 20 aprile 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
Varak Ghazarian esprime esattamente mio pensiero. Anch’io scrivo per me stesso e spera che posso fornire qualcosa per chi legge. Continuo a scrivere perché mi sento impotente e per mostrare alla gente dell’Artsakh che le ho nei miei pensieri… e spero in quelli dei miei lettori. Vorrei giustizia per tutti i crimini di guerra azeri in corso. Vorrei giustizia per il #ArtsakhBlockade. Vorrei giustizia per tutte le azioni di pulizia etnica in corso. Ma sarei già felice se il popolo di Artsakh fosse libero di vivere in pace nella propria terra.
Si è conclusa ieri in Artsakh la Spartakiad di pallavolo con la partecipazione delle squadre femminili delle scuole. Il team Stepanakert detiene il titolo di vincitore per un altro anno. I membri del team sperano che il #ArtsakhBlockade finisca e possano partecipare alla fase finale che si terrà a Yerevan in autunno.
«Oggi nell’Artsakh operano tre organizzazioni: l’Unione Europea, le Nazioni Unite e la Croce Rossa. Solo la Croce Rossa entra e esce. Gli altri non entrano nemmeno. Guardano e basta. L’Artsakh/Nagorno-Karabakh è bloccato da 131 giorni. #ArtsakhBlockade» (Fernando Andrade, giornalista di Rádio CBN, Brasile).
Artsakh vive
«Ricordavo le parole di Winston Churchill quando gli fu chiesto di tagliare i fondi per le arti a favore dello sforzo bellico: “Allora per cosa stiamo combattendo?” L’Orchestra Jazz Statale dell’Artsakh organizzerà una giornata jazz in #ArtsakhBlockade, e non posso essere più che d’accordo con questo» (Irina Safaryan).
L’Orchestra Jazz Statale dell’Artsakh presenta la Giornata Internazionale del Jazz in Artsakh “Artsakh vive”
Il 30 aprile 2023 alle ore 19.00 presso il Forrest Hub in via Naberezhnaya 3 a Stepanakert, l’Orchestra Jazz Statale dell’Artsakh (Direttore Tigran Suchyan e Direttore Artistico Eduard Danielyan), con il Complesso di Strada Statale dell’Artsakh, il Nova Band e il Step Band, ospiteranno un concerto congiunto dal titolo “Artsakh vive”, dedicato alla Giornata Internazionale del Jazz. Il concerto è sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, Scienza, Cultura e Sport dell’Artsakh, dal Comune di Stepanakert e dall’organizzazione giovanile Frontartsakh https://frontartsakh.com/.
Il Ministero della Difesa dell’Armenia ha riferito che il 20 aprile, tra le ore 15.40 e le 19.00, le loro posizioni militari e le persone che stavano svolgendo lavori di fortificazione su di esse vicino a Verin Shorzha sono state prese di mira dalle forze armate dell’Azerbajgian. Nessun ferito riportato.
Il Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh ha riferito che il 18 aprile, intorno alle ore 12:00, le forze armate dell’Azerbajgian hanno aperto il fuoco su civili che conducevano lavori agricoli nel villaggio Aknakhbyur della regione di Askeran della Repubblica di Artsakh. Il lavoro agricolo è stato sospeso, non sono state segnalate vittime. Il terrore azero contro i lavori agricoli continua nello spirito della totale impunità.
Terrorizzare gli Armeni e commettere crimini di guerra sembra essere uno dei passatempi preferiti in Azerbajgian.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian sta diffondendo false informazioni per giustificare la loro potenziale aggressione contro l’Artsakh. Dopo che le forze armate azere hanno preso il controllo della strada sterrata che collega l’Armenia con l’Artsakh e stabilito posizioni sulle alture, completando l’attrezzatura ingegneristica delle loro posizioni, probabilmente hanno deciso di tagliare completamente questa strada. Come parte dei loro sforzi per giustificare la loro potenziale aggressione, stanno diffondendo un video che ritrae un convoglio di forze di mantenimento della pace russe, accusando falsamente il contingente russo di mantenimento della pace e le autorità della Repubblica di Artsakh di trasferire truppe e armi dall’Armenia attraverso questa strada.
«L’Armenia non risponde alle proposte di pace dell’Azerbajgian e continua a inviare armi, soldati, mine nel territorio sovrano dell’Azerbajgian utilizzando le strade non asfaltate» (Nasimi Aghaev).
Ovviamente, il pappagallo che Aliyev tiene come Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, tale Nasimi Aghaev, con la faccia di bronzo non perde tempo a diffondere la fake news.
Il Ministero della Difesa dell’Armenia ha smentito le affermazioni del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian secondo cui un convoglio militare delle forze armate dell’Armenia, accompagnato dalle forze di mantenimento della pace pace russe, sarebbe entrato nel Nagorno-Karabakh. «Anche tutte le affermazioni del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian riguardo al trasferimento di personale, armi ed equipaggiamento militare delle forze armate dell’Armenia sono false», ha aggiunto il Ministero della Difesa dell’Armenia in una dichiarazione.
«SOS. Aiutatemi urgentemente. Sono il blogger politico azero Manaf Jalilzade. Tutte le organizzazioni internazionali per i diritti umani per favore aiutatemi urgentemente. Lo Stato svizzero mi deporterà in Azerbajgian il 27 aprile. Se vengo deportato in Azerbajgian, il regime del dittatore Aliyev mi ucciderà con gravi torture. Non permettere allo Stato svizzero di mandarmi nella prigione del dittatore Aliyev. La mia vita è in pericolo» (Manaf Jalilzade).
Di Manaf Jalilzade qualche volta abbiamo riportato dei post, l’ultima volta il 13 aprile 2023: «Il Presidente dell’Azerbajgian sta trasferendo artiglieria pesante Dana da 152 mm e lanciarazzi multipli Smerch da 300 mm nell’area di Lachin (Berdzor). Il dittatore Aliyev si sta preparando per una guerra più sanguinosa questa volta. Se la gente di entrambi i paesi non si alzeranno e fermeranno la guerra, questa guerra causerà la morte di migliaia di persone da entrambe le parti. Al terrorista Aliyev piace uccidere le persone. Popolo dell’Azerbajgian, o poveri, non mandare a morire i vostri poveri figli. Ayağa qalx Azərbaycan, Diktator Əliyev balalarınızı qıracaq [Alzati Azerbajgian, il dittatore Aliyev massacrerà i tuoi figli]» (Manaf Jalilzade).
24 aprile – Giornata della Memoria Armena
Ricordare il passato, vigilare il presente, temere il futuro
Nel 108° anniversario dell’inizio del genocidio (24 aprile 1915) che causò la morte di un milione e mezzo di Armeni, associazioni e comunità armene in Italia ribadiscono il fondamentale valore della Memoria come strumento necessario ad impedire nuove tragedie e ad educare le giovani generazioni al rispetto e alla tolleranza.
L’indifferenza, o peggio la negazione, elevano la barbarie ad atto ammissibile. L’equidistanza tra vittime e carnefici si trasforma in complicità con i secondi.
Per tali ragioni, ancora una volta, gli Armeni – in Italia e in ogni continente – ricordano la Giornata della Memoria armena e ringraziano quanti si uniscono a loro nel momento del raccoglimento.
Un filo rosso sangue unisce però il “Grande male” del 1915 all’attualità.
Le minacce dell’Azerbajgian rivolte verso gli Armeni del Nagorno-Karabakh/Artsakh (da oltre quattro mesi isolati dal resto del mondo a causa del blocco dell’unica strada di collegamento con l’esterno) e le pretese territoriali sulla stessa Repubblica di Armenia richiamano le teorie nazionaliste dei Giovani Turchi e mettono a rischio la sicurezza delle popolazioni.
L’occupazione di porzioni del territorio sovrano della Repubblica di Armenia, i recenti attacchi militari con conseguente sacrificio di centinaia di vite, unitamente alla consueta retorica minacciosa dell’autocrate Aliyev, sono un pericolo per il popolo armeno ma anche per tutti quei popoli che credono nei valori della democrazia e dell’autodeterminazione.
Per questi motivi, il ricordo del genocidio armeno del 1915 assume un valore che va oltre la mera ricorrenza storica.
Associazioni e comunità armene in Italia confidano che cittadini e istituzioni italiane dimostrino ancora una volta vicinanza al popolo armeno.
Coordinamento delle organizzazioni armene in Italia
Il governatore di Istanbul vieta per il secondo anno consecutivo l’evento di commemorazione del genocidio armeno
“Affrontare il 1915 è un passo necessario per costruire la democrazia, l’uguaglianza e la coesistenza pacifica su solide basi oggi”, ha affermato la piattaforma commemorativa del 24 aprile.
Il divieto di İstanbul di commemorare il genocidio armeno continua quest’anno, poiché l’ufficio del governatore ha ancora una volta proibito un evento previsto nel distretto di Kadıköy. La piattaforma commemorativa del 24 aprile ha affermato che il motivo del divieto era che si riteneva “inappropriato” tenere l’evento. Anche la commemorazione dello scorso anno è stata vietata dal governatore e nei due anni precedenti l’evento si è tenuto online a causa della pandemia.
Il genocidio armeno viene ricordato ogni anno il 24 aprile, che segna l’arresto di oltre 200 intellettuali a Istanbul nel 1915, ampiamente considerato come l’inizio del genocidio.
La Piattaforma della commemorazione del 24 aprile, che dal 2010 organizza eventi commemorativi, ha criticato il divieto del governatore, affermando che gli eventi commemorativi si sono sempre svolti senza problemi nonostante siano stati presi di mira da vari poteri dal 2010: «Non c’è motivo ragionevole perché quest’anno il nostro evento di commemorazione sia vietato, come lo è stato l’anno scorso. In un clima in cui si organizzano liberamente incontri e manifestazioni razziste, in cui coloro che continuano a demonizzare i discendenti degli Armeni e degli Assiri uccisi nel 1915 e continuano ad alienare le comunità minoritarie con discorsi di odio razzista che sono pronunciati liberamente, il divieto di questo evento, con cui ricordiamo rispettosamente e con calma coloro che abbiamo perso nel 1915, è inaccettabile. Affrontare il 1915 è un passo necessario per costruire la democrazia, l’uguaglianza e la convivenza pacifica su basi solide oggi. Senza questo confronto, nessuna mossa democratica può essere permanente e nessuna relazione sociale può essere egualitaria. L’Ufficio del Governatore ha chiaramente dimostrato di essere contrario alle dinamiche di democratizzazione vietando il nostro evento commemorativo. Chiediamo all’Ufficio del Governatore di annulare questa decisione».
Nel frattempo, l’Associazione per i Diritti Umani si prepara a tenere un evento di commemorazione nel quartiere di Sultanahmet, nella penisola storica di Istanbul, come fa ogni anno (Fonte: Ufficio Stampa del Independent Communication Network-BİA).
Cardinal Parolin: la divisione pacifica della Cecoslovacchia come modello per i conflitti di oggi
Alcuni giorni fa abbiamo riportato le parole del Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin sulla divisione pacifica della Cecoslovacchia come modello per i conflitti di oggi [QUI].
Mastro Titta: De Profundis della diplomazia vaticana
Stilum Curiae, 20 aprile 2023
Il Segretario di Stato Pietro Parolin non si espone molto, ma quando lo fa va ascoltato con attenzione. Qualche giorno fa ha espresso alcune lapidarie considerazioni geopolitiche: parlando dei conflitti in corso, ha ricordato che esisterebbe un “modello” di divisione pacifica, l’esempio dato della Cecoslovacchia.
Il cardinale dice cose di buonsenso, ma non ne dice altre di altrettanto buonsenso. Fugge dal sen il doveroso riferimento alla guerra tra Russia e Ucraina – dove, sia ben chiaro, l’aggressore è la prima e l’aggredito la seconda – omette di precisare che le due contendenti sono separate e reciprocamente riconosciute dal 1991. Un bel po’ di anni.
Dunque il “modello pacifico” di divorzio geopolitico dovrebbe applicarsi anche alla Crimea, e successivamente alle quattro regioni separatiste di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. Tutte annesse per via referendaria, evidenza che l’Ucraina rigetta con furore ideologico quasi patetico: in sostanza, rivendica il diritto a massacrare impunemente una parte di sé, come fa dal 2014 nel Donbass. E come non va giù all’Ucraina nata da Euromaidan, non va giù alla Nato. Ma sono dettagli.
Se proprio volessimo dare alla Storia il peso che le spetta, dovremmo considerare che l’Ucraina è Russia tanto quanto la Russia è Ucraina, ed entrambe sono in Europa, come si studiava una volta a scuola.
La Russia lo era almeno sino agli Urali, e il fatto che le tre capitali storiche, Kiev, San Pietroburgo e Mosca stessa, pendano verso l’Europa e non verso l’Asia molto dovrebbe dire ai fautori delle linee immaginarie. Invece non dice niente. Le linee immaginarie le sposti come a piacere, secondo la pruderie del momento.
Dopo di che c’è la piaga della guerra civile, guarda caso retaggio nelle sue varie forme degli stati assoluti, degli imperi dissolti e dissoluti e, nella fase terminale, del colonialismo: come se gli imperi, vittime dell’ideologia borghese che mirava dritta al suffragio universale e quella forma imperfetta di partecipazione politica che chiamiamo democrazia, siano andati ad installare altrove le proprie pulsioni assolutiste. Deputati in casa propria, satrapi all’estero.
Basta gettare un’occhiata alle botte di righello date in tutta l’Africa per capire che qualcosa doveva andare storto. Il potere assoluto, la superiorità tecnica e antropologica, ha rinculato nelle terre di origine, approvvigionandosi in terra straniera di ciò che serviva a mantenere lo statu quo democratico: il benessere diffuso, vagamente tamarro.
Le guerre civili sono pane quotidiano anche in Occidente. In ordine sparso: la Guerra Civile americana, la repressione della Vandea, la Rivoluzione Spagnola, l’opera di persuasione di Oliver Cromwell nei confronti dei cattolici inglesi come antesignano del tema, con metodi da far sembrare l’Isis un gruppo scout.
Davvero si può erigere un’eccezione quasi isolata a “modello”?
Tuttavia, prendiamo per buona l’ipotesi di Sua Eminenza. L’idea stessa di risolvere pacificamente i conflitti interni – etnici, culturali, economici – dovrebbe applicarsi anche alle federazioni come l’UE. Dopo i 70 anni di pace e vacche magre, l’UE è diventata la gabbia di matti che si dissangua (e soprattutto dissangua gli altri) con invii massivi di armi in Ucraina: sicuri che sarebbe incapace di bombardare un paese, ad esempio l’Ungheria di Orban, che voglia uscirne per prendere una boccata d’aria? Ricordiamoci lo zelo con cui l’UE, messo il cappello della Nato, bombardò Belgrado, nel cuore dell’Europa geografica. Ai 70 anni di vacche magre potrebbero succedere 70 anni di vacche scheletriche, grazie a politiche demenziali e anti-storiche, o perfino anti-tutto, messe in atto. Cosa non si sopporta per amor dell’unità.
Infine, sento un sottofondo critico amaro nelle parole di Parolin: la situazione della stessa Chiesa Cattolica, dilaniata da conflitti dottrinali esplosi con il papato illuminato di Francesco.
Dopo una decade di Fratelli Tutti, misericordia, accoglienza e ogni genere di scarabocchio mentale universale – avete presente quei disegnini con bambini e bambine neri, gialli e rosa che fanno il girotondo su un bel prato verde sormontati dall’arcobaleno? – ecco esplodere tutte le contraddizioni, le guerre e le divisioni. E allora Parolin, salomonicamente, spedisce ognuno a casa propria, in lockdown culturale e geopolitico, purché in pace. La pace dei cimiteri e dell’irrilevanza. La Chiesa etnica avanza a passo di canguro.
Temo che il cardinale parli a nuora perché suocera intenda. Del resto, un’istituzione in frantumi come la Chiesa Cattolica difficilmente può insegnare agli altri come tenersi insieme.
Parolin certifica che il Nuovo Ordine Mondiale è nato morto e che la Chiesa, a parte qualche vago pistolotto su quanto sia bello salutare il vicino di casa col sorriso sulle labbra salvo scannarsi perché l’acqua dei fiori ti cola in balcone, non abbia molto da dire.
Certo, il Segretario di Stato fa un rapido passaggio su Cristo non come repressore dei conflitti, ma come portatore di giustizia e misericordia.
Cristo, appunto. Non africani dispersi dentro ignobili bagnarole, la tutela della biodiversità, la salvezza del pianeta, dilemmi laceranti sull’abbattimento di orsi o i diritti dei trans. Ma tanto, in Cristo chi ci crede più?
È un mondo che finisce “non già con uno schianto, ma con un lamento” di Eliot. Se le armi negoziali in mano alla diplomazia vaticana sono queste, ne vedremo delle brutte.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]