123° giorno del #ArtsakhBlockade. La comunità internazionale difenda gli Armeni con azioni risolutive per mettere fine ai crimini dell’autocrazia azera (Korazym 13.04.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.04.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, il #ArtsakhBlockade è in essere da 4 mesi. Dalle ore 10.30 del 12 dicembre 2022, intorno alle ore 10:30 (ore 07.30 di Roma), un gruppo di Azeri in abiti civili, presentandosi come presunti “attivisti ambientalisti” ha bloccato all’altezza di Shush, città occupata dalle forze armate dell’Azerbajgian l’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Lachin, l’unico collegamento dell’Artsakh con l’Armenia e il mondo.
Prima del blocco, una media di circa 2.450 persone transitava quotidianamente lungo il corridoio in entrambe le direzioni, il che significa che in condizioni normali durante 122 giorni ci sarebbero state 298.900 entrate e uscite dall’Artsakh. Tuttavia, durante i 4 mesi di blocco, solo 1.638 persone sono state trasferite da e verso l’Artsakh con l’aiuto del Comitato Internazionale della Croce Rossa e la Missione di mantenimento della pace russa. Ciò significa che durante i 122 giorni di blocco, il movimento delle persone è diminuito drasticamente, di 183 volte.
Inoltre, da quando l’ultima volta l’Azerbajgian ha interrotto la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh è passato già un mese e la linea di alta tensione che porta dell’energia elettrica dall’Armenia all’Artsakh è interrotta dall’Azerbajgian già da 3 mesi.
«Perché difendere l’Armenia?
Perché è uno dei Paesi più belli del mondo con i suoi monasteri antichissimi arroccati nel cielo.
Perché hanno abitato la propria terra fin dalla notte dei tempi, molto prima che i Turchi Ottomani, venuti dall’Asia, invadessero e colonizzassero il loro territorio, all’alba del secondo millennio.
Perché questo piccolo popolo di 3 milioni ha come ricchezza solo alcune miniere d’oro, la sua storia, la sua fede, la sua cultura, la sua lingua, per noi troppo poco rispetto ai giacimenti di gas e di petrolio azeri e ai Tap.
Perché il suo grande crimine è di essere un Paese cristiano, il più antico Paese cristiano nella storia, in mezzo all’Islam.
Perché sono spesso raggiunti da quel destino a cui speravano di sfuggire: quello dei loro antenati vittime del primo genocidio moderno.
Perché Turchi, Azeri e l’Esercito islamico del Caucaso hanno commesso tali orrori contro il suo popolo che persino le sue mura hanno pianto sangue.
Perché di fronte a loro noi Europei, per citare un giornalista francese, “siamo indifferenti come le mucche che, parafrasando Paul Claudel, guardano passare i treni dove, nel vagone ristorante, i viaggiatori mangiano vitello tonnato”.
Perché la compassione, la chiamata al rispetto dei diritti umani, il dovere all’assistenza umanitaria, hanno le loro regole diplomatiche, economiche e morali che non prevedono Armeni, da cancellare dal “nuovo ordine mondiale”.
Perché mi ricordano quella frase di Chesterton, per il quale “il vero soldato combatte non perché odia ciò che ha davanti, ma perché ama ciò che ha dietro di sé”» (Giulio Meotti).
«Ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale» (Etty Hillesum).
Il Presidente armeno, Vahagn Khachaturyan, su raccomandazione del Primo Ministro, Nikol Pashinyan, ha firmato mercoledì un decreto che revoca Arman Maralchyan dalla posizione di Comandante delle truppe di frontiera del Servizio di Sicurezza Nazionale.
«Il Presidente dell’Azerbajgian sta trasferendo artiglieria pesante Dana da 152 mm e lanciarazzi multipli Smerch da 300 mm nell’area di Lachin (Berdzor). Il dittatore Aliyev si sta preparando per una guerra più sanguinosa questa volta. Se la gente di entrambi i paesi non si alzeranno e fermeranno la guerra, questa guerra causerà la morte di migliaia di persone da entrambe le parti. Al terrorista Aliyev piace uccidere le persone. Popolo dell’Azerbajgian, o poveri, non mandare a morire i vostri poveri figli. Ayağa qalx Azərbaycan, Diktator Əliyev balalarınızı qıracaq [Alzati Azerbajgian, il dittatore Aliyev massacrerà i tuoi figli]» (Manaf Jalilzade).
«”Non andare papà”, “Voglio il mio papà”. Il bambino piange [sopra la bara con il suo corpo] per il suo padre. Ma suo padre, e di migliaia di bambini come lui, non torneranno. Perché il terrorista Aliyev ha ucciso migliaia di tali padri per il suo potere in Karabakh. Quei bambini non vedranno i loro padri, non giocheranno con i loro padri, e quando i padri di altri bambini verranno a scuola, questi bambini saranno umiliati. Faccio appello ai genitori dell’Azerbajgian e dell’Armenia: “Non sacrificate i vostri figli alle autorità, non permettete loro di acquistare armi”. Perché ci sono guerre nel mondo, perché le persone muoiono, perché i bambini senza padri, perché i padri senza figli? Non voglio la guerra, non voglio il regime di Aliyev» (Suleyman Suleymanli).
«Un soldato azero catturato oggi in Armenia ha girato un video in diretta vicino a Kapan, in cui dice che lui e il suo amico, catturato in precedenza, “sono penetrati nel territorio dell’Armenia”. Dice che non sono traditori dell’Azerbajgian, che hanno ucciso molti Armeni, tagliandoli la testa: “Abbiamo versato sangue armeno. Abbiamo decapitato Armeni. Non siamo traditori della madrepatria, non chiamateci traditori”. Secondo le prime informazioni sabato scorso ha ucciso una 57enne guardia giurata della Zangezur Copper-Molybdenum Combine» (Karabakh Records).
«Il secondo soldato dell’esercito azerbajgiano, Husein Akhliman oglu Akhundov, arrestato in Armenia. Prima di essere ritrovato dagli abitanti del villaggio, sulla sua pagina social in diretta aveva detto di essere orgoglioso di aver ucciso centinaia di Armeni: “Abbiamo versato sangue armeno. Abbiamo decapitato 4-5 centinaia di Armeni. Ora siamo vivi, non siamo morti. Anche se moriamo, lascia che ciò che facciamo sia apprezzato. Non siamo traditori della madrepatria”.
Husein Akhliman oglu Akhundov è stato ritrovato dopo 3 giorni di ricerche, a 3 chilometri dal villaggio Achanan della regione di Syunik. Il 10 aprile era stato ritrovato nella regione di Syunik un altro soldato delle forze armate dell’Azerbajgian, entrato in Armenia dal Nakhichevan.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha riferito che i due militari si sono persi a causa di condizioni meteorologiche sfavorevoli in direzione della regione di Shahbuz.
I soldati azeri arrestati in Armenia verranno scambiati con i prigionieri armeni detenuti illegalmente da anni nelle carceri di Baku?
Il 12 aprile, il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha annunciato all’Assemblea Nazionale che i soldati dell’esercito azero sono fuggiti dalle basi militari azere perché i loro commilitoni li hanno oppressi e sottoposti a umiliazioni. Pashinyan ha affermato che non è un dato di fatto che il primo soldato arrestato voglia tornare in Azerbajgian. L’Armenia non può restituire con la forza un militare in Azerbaigian.
È triste che anche durante la sua permanenza nel territorio dell’Armenia, il soldato azero non abbia nascosto il suo odio nei confronti degli Armeni. Era orgoglioso di aver ucciso centinaia di Armeni. Penso che i due prigionieri azeri saranno al sicuro in Armenia e la loro sicurezza sarà assicurata» (Robert Ananyan).
«Uno dei due Azeri che hanno attraversato il confine con l’Armenia tre giorni fa è stato trovato da tre abitanti del villaggio di Achanan, nella provincia di Syunik. Armenian News ha seguito l’incidente con uno di loro, Gor Ohanjanyan. Ha raccontato che il soldato azero è stato trovato in un’uniforme militare azera, in possesso di munizioni miste, maschere e il telefono di una vittima che è stata uccisa nel posto di guardia della Zangezur Copper-Molybdenum Combine. La gente del posto lo ha trattenuto fino all’arrivo della polizia. Il soldato era bagnato e sporco al momento della sua cattura. È stato trovato a tre chilometri dal villaggio di Achanan.
“Abbiamo versato il sangue degli armeni. Abbiamo decapitato gli armeni. E ora siamo ancora vivi, non morti. Anche se moriamo, facciamoci apprezzare. Non siamo traditori della Patria”, dice il soldato azero detenuto in un video che ha registrato sul suo telefono prima dell’arresto.
Secondo la dichiarazione del Ministero della Difesa armeno, lunedì tra l’una e le due del mattino, un militare delle forze armate dell’Azerbajgian è stato trovato e detenuto nel territorio dell’Armenia. C’era un altro soldato con lui e la ricerca di lui è continuata per tre giorni. Il 13 aprile il Ministero della Difesa armeno ha riferito che anche il secondo militare azero è stato preso in custodia dalle autorità armene.
I due Azeri sarebbero stati avvistati per la prima volta a Bnunis, un altro villaggio situato a pochi chilometri da Ashotavan. Il primo militare azero è stato detenuto ad Ashotavan. I residenti locali hanno affermato che questi azeri hanno bussato a lungo alla porta della casa di un residente locale, che aveva aperto la porta, visto soldati mascherati, chiuso la porta e chiamato la polizia. I villaggi di Bnunis e Ashotavan distano circa 20 km dalle posizioni azere» (301.arm).
Gli “eco-attivisti” dell’Azerbajgian su un autobus charter diretto a Shushi a bloccare il Corridoio di Lachin cantano Can Gedirik Almağa. I testi includono: “Che quelle montagne vedano di nuovo i Lupi Grigi; lascia la terra di Oghuz [turchi] e scappa”.
Un altro autobus charter con “eco-attivisti” dell’Azerbajgian diretto a bloccare il Corridoio di Lachin che cantano questa particolare canzone nazionalista turco-azero. Deve essere una specie di una tradizione. Una eco-tradizione. Poi un eco-attivista fa l’immancabile segno sei Lupi Grigi.
«Il rumore sordo della testa mozzata di un Armeno. Zelensky chiede di non essere indifferente sulle decapitazioni di soldati ucraini. Nulla si dice invece delle decine di Armeni, molti civili, decapitati negli ultimi due anni dai nostri “partner” Turchi e Azeri. Teste brandite come nell’Inferno dantesco “a guisa di lanterna” in una guerra combattuta per la terra ancestrale del più antico popolo cristiano del mondo e dove si muore quasi ogni giorno (ieri sette morti al confine armeno). L’Armenia sta per scomparire. Già la sua parte orientale gli è stata tolta. Nessuno ha ripreso le loro storie e i video di queste decapitazioni, tutte disponibili eppure tutte ignorate da giornali e tg (li pubblico io, ma non sono per stomaci sensibili). Gli anziani che rantolano mentre il coltello li decolla; la donna disabile a cui tagliano piedi, mani e orecchie; la soldatessa decapitata, le pietre messe al posto degli occhi, le dita tagliate e infilate in bocca; il marito a cui hanno strappato la pelle dove aveva i tatuaggi… “Siamo come pecore rinchiuse in gabbia circondate da lupi dai denti lunghi”, ha detto il Primate della Chiesa Apostolica Armena, Vrtanès Aprahamian. “I lupi stanno solo aspettando un’opportunità per aprire il cancello e fare a pezzi la loro preda”. Ma gli Armeni non soddisfano i criteri per l’adesione alla pietà woke globale: non sono multiculturali, non sono fluidi e non si accontentano di assistere alla propria eutanasia storica.
Anush Apetyan è stata decapitata, al posto degli occhi ci hanno messo le pietre, le hanno tagliato le dita e gliele hanno infilate in bocca. Solo perché armena. Da uno Stato, l’Azerbajgian, “partner Nato”, spalleggiato dalla Turchia, secondo esercito NATO. Non si sono sentiti comunicati indignati. Un piccolo Paese di 3 milioni di anime cristiane senza sbocco sul mare nel sud del Caucaso e senza idrocarburi, soggetto ai desideri di conquista dei suoi due vicini, due regimi autoritari islamici. Un doppio pericolo per quest’isola di democrazia. Da una parte l’Azerbajgian, guidato da Ilham Aliyev, a capo di una petromonarchia strategica per la UE, che non nasconde più le ambizioni di spazzare via la millenaria Armenia, la nazione cristiana più antica, e di invadere anche Yerevan, che chiama “la parte occidentale” del suo Paese, che esiste solo dal 1918 per volere di Stalin. Dall’altra parte la Turchia di Erdogan, che per creare uno spazio pan-turco che si estenda dallo stretto del Bosforo alle montagne del Kirghizistan deve eliminare l’Armenia. Siamo a un nuovo capitolo di quella che il console tedesco Kuckhoff il 4 luglio 1915 sul genocidio di 1,5 milioni di Armeni definí “la distruzione e l’islamizzazione di un intero popolo”» (Giulio Meotti, 12 aprile 2023).
Josep Borrell Fontelles, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e Vicepresidente dell’Unione Europea, ha scritto in un post su Twitter che è «profondamente sconvolto dal brutale video della decapitazione di un prigioniero di guerra ucraino. È una spregevole violazione delle Convenzioni di Ginevra. Tutti gli autori ei complici di crimini di guerra devono essere chiamati a rendere conto». In effetti, siamo profondamente sconvolti dalla decapitazione di 19 civili innocenti da parte delle forze militari dell’Azerbajgian durante la guerra in Artsakh del 2016 e del 2020, innescata dall’autocrazia dell’Azerbajgian con l’aiuto dei combattenti dell’ISIS e del sostegno militare di Turchia e Israel. Ma non abbiamo mai letto un post su Twitter di Josep Borrell al riguardo. L’Unione Europea ha abbandonato la sua dipendenza dal gas russo durante l’invasione e l’occupazione dell’Ucraina, solo per mettersi alla canna del gas azero (che è in parte gas russo riciclato da Aliyev) durante l’invasione e l’occupazione dell’Armenia.
Dichiarazione sulla inadempienza dell’Azerbaigian in riferimento l’ordine del 22 febbraio della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite di sbloccare il Corridoio di Lachin
L’Istituto Lemkin per la prevenzione del genocidio è indignato per il palese disprezzo dell’Azerbajgian per la decisione vincolante della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sulle misure provvisorie emessa il 22 febbraio 2023, che ordinava all’Azerbajgian di garantire la libera circolazione di merci e persone attraverso il Corridoio di Lachin. L’Azerbajgian non ha ottemperato a questo ordine nonostante abbia accettato la giurisdizione dell’ICJ nel caso del 2021 sull’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Armenia contro Azerbajgian) ed è stato parte di la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale dal 1996.
L’Istituto Lemkin è ugualmente preoccupato per la mancanza di sostegno da parte della comunità internazionale nel far rispettare le decisioni dell’ICJ con meccanismi di attuazione. La natura volontaria del diritto internazionale lo rende inetto quando uno Stato decide di non attuare le decisioni dei tribunali internazionali. L’Istituto Lemkin sostiene con forza mezzi più potenti per attuare tali decisioni e ritiene che sia nell’interesse di tutti gli Stati farlo.
Il 22 febbraio, l’ICJ ha emesso una decisione in cui si afferma che l’Azerbajgian deve “adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”. La decisione del 22 febbraio arriva dopo che l’ICJ ha emesso misure provvisorie in quello stesso caso, il 7 dicembre 2021, ordinando all’Azerbajgian di “proteggere dalla violenza e dai danni fisici tutte le persone catturate in relazione al conflitto del 2020 che rimangono in detenzione e garantire la loro sicurezza e l’uguaglianza davanti alla legge; adottare tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale e della discriminazione, anche da parte dei suoi funzionari e istituzioni pubbliche, nei confronti di persone di origine nazionale o etnica armena.
Diverse settimane dopo, l’Azerbajgian non solo non ha ancora rispettato l’ordine del 22 febbraio 2023, ma ha anche avviato nuove azioni militari oltre a continuare a violare gli ordini emessi dal dicembre 2021 fino ad oggi. L’Istituto Lemkin ribadisce che le decisioni dell’ICJ sono vincolanti per le parti in un determinato caso, il che significa che qualsiasi ordine emesso dall’ICJ nel caso Armenia contro Azerbajgian è vincolante per entrambe le parti. Ciò significa che sia l’Azerbajgian che l’Armenia devono rispettare gli ordini della Corte Internazionale di Giustizia alla luce dei trattati e degli accordi che entrambe le parti hanno concordato ai sensi del diritto internazionale. Pertanto, il mancato rispetto da parte dell’Azerbajgian delle misure provvisorie della ICJ è una palese violazione del diritto internazionale e una flagrante inadempienza degli obblighi internazionali dell’Azerbajgian.
Ci sono stati pochissimi sforzi compiuti dalla comunità internazionale per costringere l’Azerbajgian a revocare il blocco nel mese successivo all’ordine della Corte Internazionale di Giustizia. La dichiarazione di più alto profilo fatta è stata quella di Anders Fogh Rasmussen, l’ex Segretario Generale della NATO, che ha espresso il suo sgomento per il blocco in corso e ha avvertito di una “catastrofe umanitaria”, ma non ha offerto molto altro. Anche la missione internazionale dell’Unione Europea incaricata di monitorare il Corridoio di Lachin, oggetto di proteste da parte dell’Azerbajgian, si è dimostrata finora incapace di cambiare efficacemente la situazione, avendo finora rilasciato solo dichiarazioni secondo cui riferirà i risultati a Brussel. L’inviato dell’Unione Europea nel Caucaso meridionale, Toivo Klaar, continua il suo vergognoso tentativo di giocare su entrambi i lati della questione.
Ricordiamo che il blocco è iniziato il 12 dicembre 2022, quando i civili azeri che si dichiaravano ambientalisti hanno eretto delle barricate per protestare contro le “attività minerarie illegali” e l’uso del corridoio per il trasporto di armi. In realtà, alcuni dei bloccanti hanno legami con il governo azero e il blocco ha più scopi politici che legittimi interessi ambientali. Queste barricate sono anche una chiara violazione del Trattato di pace trilaterale firmato il 9 novembre 2020 da Armenia, Azerbajgian e Russia, che include disposizioni che prevedono la libera circolazione lungo il Corridoio di Lachin.
I nostri lettori ricorderanno la dichiarazione del 12 febbraio dell’Istituto Lemkin che esprimeva indignazione per i tiepidi sforzi e il continuo silenzio compiuti dalla comunità internazionale per costringere l’Azerbajgian a cambiare le sue azioni. L’Istituto Lemkin ribadisce ancora una volta il suo appello alla comunità internazionale affinché agisca e faccia pressione sull’Azerbajgian affinché revochi immediatamente il blocco, promulghi sanzioni per gli atti criminali del regime di Aliyev e promuova un ambiente pacifico favorevole a una soluzione diplomatica che protegga adeguatamente i diritti degli Armeni autoctoni in Artsakh.
L’Istituto Lemkin vorrebbe portare all’attenzione dei responsabili politici internazionali le implicazioni che il mancato rispetto da parte dell’Azerbajgian di un tribunale internazionale comporta per i casi futuri. Qualsiasi Stato che non si conformi alle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e alla decisione di qualsiasi altra corte o organo internazionale a cui i Paesi hanno sottoposto i loro conflitti, mina e sconfigge gli scopi e i principi fondamentali della comunità internazionale. Se l’Azerbajgian riesce a farla franca non ottemperando agli ordini della Corte Internazionale di Giustizia, ciò costituisce un terribile precedente e rende inutili gli organi internazionali nei procedimenti futuri. Inoltre, ignorare le violazioni dell’Azerbajgian invita solo a più violenza. La comunità internazionale rischia di distruggere la fiducia nelle istituzioni internazionali se continua a chiudere un occhio sull’inadempienza dell’Azerbajgian.
L’Istituto Lemkin chiede che venga intrapresa un’azione significativa per portare l’Azerbajgian in conformità sia con le misure provvisorie del 21 dicembre 2021, sia con l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia del 22 febbraio 2023 di revocare il blocco del Corridoio di Lachin, affinché l’Azerbajgian sia sanzionato una volta per tutte per le sue azioni criminali e che la comunità internazionale dimostri rispetto per i principi che ha adottato per porre fine ai crimini atroci e alle guerre senza fine in tutto il mondo.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]